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Quintetto di fiati dell’Accademia di Santa Cecilia e della Tonhalle Orchester di Zurigo – Pianista Emilio Aversano

Andrea OLIVA, Flauto
Francesco DI ROSA, Oboe
Calogero PALERMO, Clarinetto
Guglielmo PELLARIN, Corno
Andrea ZUCCO, Fagotto

Emilio AVERSANO, Pianoforte

Dettagli evento
  • Data : 10 Febbraio 2025, ore 20:45
  • Luogo : Sala Verdi – Conservatorio di MIlano, via Conservatorio 2, 20122 Milano
  • Biglietti: Settore 1: Intero 35€, ridotto 30€ – Settore 2: Intero 30€, ridotto 25€
  • Acquista on-line

Sala Verdi – Conservatorio di Milano

Via Conservatorio, 12
Milano, 20122 Italia
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Programma

LUDWIG van BEETHOVEN (1770 – 1827)
Da “L’orologio meccanico” WoO 33:
Adagio assai in fa maggiore, WoO 33a/1
Allegro non più molto in do maggiore, WoO 33b/1

WOLFGANG AMADEUS MOZART (1756 – 1791)
Quintetto in mi bemolle maggiore K452
Largo-Allegro moderato
Larghetto
Rondò- Allegretto

GIULIO BRICCIALDI (1818 – 1881)
Fantasia su “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini

GEORGE BIZET (1838 – 1875) / BILL HOLCOMBE (1924 – 2010)
«Carmen Suite»

GEORGE GERSHWIN (1898 – 1937) / BILL HOLCOMBE
Suite da «Porgy and Bess»

Scarica il libretto di sala

Si ringrazia

QUINTETTO A FIATI DELL’ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA E DELLA TONHALLE ORCHESTER DI ZURIGO

Il Quintetto è composto da Andrea Oliva, Francesco Di Rosa, Guglielmo Pellarin e Andrea Zucco attualmente prime parti soliste dell’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma e da Calogero Palermo, primo clarinetto solista della Tonhalle Orchester di Zurigo.

I cinque musicisti, premiati in prestigiosi concorsi internazionali quali: ARD, Kobe, Jugendmusik Wettbewerb di Zurigo e Jeunesses musicales di Bucarest, hanno collaborato con Berliner Philharmoniker, Bayerischer Staatsorchester, Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, Lucerne Festival Orchestra, Orchestre National de France, Chamber Orchestra of Europe e Mahler Chamber Orchestra e si sono esibiti sui principali palcoscenici del mondo: Musikverein di Vienna, Concertgebouw di Amsterdam, Suntory Hall di Tokyo, Salle Pleyel di Parigi, Royal Albert Hall di Londra, Carnegie Hall di New York.

Il quintetto di fiati rappresenta la formazione più completa a livello sonoro e più ricca di repertorio; l’idea del gruppo è ricreare, con questa eterogenea formazione, tutta la ricchezza dei timbri orchestrali, valorizzando le esperienze professionali e le personalità individuali dei componenti.

Il valore aggiunto dell’Ensemble è la speciale intesa musicale data dalla frequentazione quotidiana, dalla stima reciproca e dal rapporto di amicizia che lega fra loro i componenti.

EMILIO AVERSANO

Ha svolto, sin da giovanissimo, attività concertistica sia in recital che da solista con orchestra per prestigiosi Enti (Amici della Musica di Palermo, Ravello Festival, Britten Theatre at Royal College a Londra).

Per Serate Musicali, presso il Teatro Dal Verme di Milano, nel 2008 ha eseguito a memoria una maratona di quattro Concerti per pianoforte e orchestra nella stessa serata (Mozart K 488, Rachmaninov n.2, Ciaikovsky n.1 e Liszt n.2) con la Filarmonica di Bacau diretta da Ovidiu Balan. Dopo il concerto il Corriere della Sera scriverà «Mai visto nulla di simile (…)». Nell’occasione di una nuova Maratona al Conservatorio di Milano nel 2013, il TG1 ha trasmesso un servizio con un’intervista al pianista, che il Corriere della Sera ha, negli anni seguenti, definito l’”inventore di un genere”, dedicandogli un’intervista su “Sette” e su “La Lettura”. Sempre con l’Orchestra Filarmonica di Bacau, nel 2014 ha tenuto di seguito due maratone pianistiche, alla Konzertsaal dell’Universitat der Kunste di Berlino e al Gewandhaus di Lipsia. Quest’ultima è divenuta un doppio CD, live recording, dal titolo “Maratona al Gewandhaus”, edito dal mensile Amadeus e così recensito da Quirino Principe su “Il Sole 24 ore”: «La maratona di Aversano è Forte». Nel 2016, nella Sala d’Oro del Musikverein di Vienna, ha eseguito una nuova maratona di quattro Concerti accompagnato dalla Mav Symphony Orchestra di Budapest. Nel 2017 ha esordito al Teatro alla Scala eseguendo il Quintetto di Dvôrak con il Quartetto d’archi della Scala e ha eseguito il Concerto K.488 di Mozart con i “Cameristi della Scala” al Teatro Politeama di Catanzaro.

Ha poi suonato a Istanbul con la Istanbul State Orchestra, al Megaron di Salonicco con la City Orchestra di Salonicco e tenuto nuove Maratone pianistiche con la Cardiff Sinfonietta presso la Stoutker Hall at Royal College of Music di Cardiff e con l’Orchestra di Padova e del Veneto nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano.

Nel 2022 il ritorno alla Scala, eseguendo i Quintetti per fiati di Mozart e Beethoven con I Fiati della Scala.  Nell’occasione ha eseguito anche alcune Sonate di Scarlatti tratte dal CD pubblicato da Warner Classics e recensito sulle pagine nazionali del Corriere della Sera con un articolo dal titolo “La quieta grandezza di un maratoneta del pianoforte”.

Nel novembre 2024 ha suonato nella Stagione da camera dell’Accademia di Santa Cecilia presso la Sala Sinopoli del Parco della Musica di Roma, eseguendo il Quintetto K452 di Mozart con i “Fiati di Santa Cecilia”. Il concerto è stato trasmesso in diretta radiofonica da Rai Radio Tre.

Conclusi gli studi classici, ha conseguito la laurea in Lettere Moderne col massimo dei voti e lode presso l’Università di Salerno, discutendo una tesi su “Dante e la musica”. Sua principale guida il pianista Aldo Ciccolini.


LUDWIG van BEETHOVEN

Da “L’orologio meccanico” WoO 33:

– Adagio assai in fa maggiore – Allegro non più molto in do maggiore

Intorno al 1799 Ludwig van Beethoven compose 5 brani per organo meccanico, tutti pubblicati postumi e catalogati come WoO 33.  Entrambe le pagine in programma, l’Adagio assai in fa maggiore e l’Allegro non più molto in do maggiore (quarto della serie), senza indicazione di strumento, furono oggetto di diverse trascrizioni. L’organo meccanico o orologio meccanico è composto da un orologio combinato con un piccolo organo. A una determinata ora l’orologio attiva un rullo dentato, sul quale è inciso il brano da riprodurre automaticamente e che a sua volta attiva un mantice che immette aria nelle piccole canne.

Si tratta di una famiglia di strumenti, tutti dalle capacità espressive piuttosto limitate, che tuttavia ebbero una breve stagione di celebrità tra la metà e la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo ed erano destinati a una clientela facoltosa e culturalmente elevata.  Tra gli organi meccanici tuttora esistenti il più grande e singolare è certamente quello, fabbricato nel 1840, oggi conservato nel museo degli orologi di Furtwangen, in Germania, dotato di tre registri e ottantadue canne, il cui meccanismo offre un repertorio di dodici melodie, una per ogni ora, e aziona figurine animate di danzatori e orchestrali.

Molti compositori scrissero opere appositamente per questi strumenti: oltre a Haydn e Mozart si ricordano G.F. Händel, W. F. Bach, C. Ph. E. Bach, Salieri, Cherubini e, naturalmente, Beethoven. Gli esemplari conservati e ancora muniti di rullo, rappresentano una sorta di «registrazione» ante litteram, utile per comprendere come venivano realizzati gli abbellimenti o per fornire indicazioni sui tempi di esecuzione dei brani.

WOLFGANG AMADEUS MOZART

Quintetto in mi bemolle maggiore K.452

Il Quintetto in mi bemolle maggiore K.452 per pianoforte e fiati, incluso nel catalogo personale alla data del 30 marzo 1784, fu pensato per i Concerti quaresimali di quell’anno. In una lettera al padre del 10 aprile Mozart ebbe a definirlo «la migliore opera che io abbia mai scritto»; dichiarazione impegnativa, che deve probabilmente essere attribuita alla suprema maestria con la quale l’autore risolve nella partitura il delicato problema della scrittura strumentale.

Come i due Quartetti per pianoforte e archi, infatti, anche il K.452 ha una impostazione concertante nel rapporto fra il pianoforte e gli altri strumenti, ma gli strumenti a fiato, ancora lontani – nonostante i grandi progressi organologici compiuti nel secolo – dalla precisione moderna in quanto a emissione di suono e intonazione, imponevano precisi limiti relativi alla durata delle frasi musicali, all’estensione della tessitura, alla stessa completezza della gamma cromatica. Il Quintetto mozartiano supera invece con apparente disinvoltura questi limiti.

Nel complesso dei fiati nessuno strumento – neanche i più “progrediti” oboe e clarinetto – ha un ruolo prioritario sugli altri, grazie all’impiego di frasi musicali piuttosto brevi che permettono a tutti di intervenire a rotazione; d’altra parte, ogni strumento riceve una precisa individuazione delle proprie caratteristiche tecnico-espressive, riesce insomma, a conseguire il massimo effetto senza risultare inadeguato; a tal fine l’armonia scelta da Mozart evita prevalentemente i cromatismi della scrittura per archi e si mantiene in un ambito accuratamente diatonico.

Alla compagine dei fiati il pianoforte si oppone con un ruolo meno virtuosistico che in altri brani. Il movimento iniziale è aperto da un Largo di ampie dimensioni, seguito da un Allegro in forma-sonata con un conciso sviluppo; l’intero movimento svolge mirabilmente la logica di contrapposizioni e avvicendamenti strumentali. Il Larghetto – anch’esso in forma-sonata – lascia spazio alla espansività melodica dei vari strumenti, e contempla quindi una vasta presenza di episodi secondari. Il Rondò ha un carattere strettamente giocoso e comprende una vasta Cadenza interamente scritta per tutti gli strumenti.

GIULIO BRICCIALDI

Fantasia su “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini

Il Barbiere di Siviglia, rappresentato per la prima volta al Teatro Argentina di Roma il 20 febbraio 1816, è forse l’opera più nota e amata di tutto il repertorio rossiniano. È un capolavoro che rimarrà per sempre il modello esemplare dell’opera buffa per la vivacità realistica dei suoi personaggi, per l’assunto divertente della vicenda e soprattutto per la qualità della partitura, piena di delizie memorabili. Nella trascrizione per Quintetto di fiati di Giulio Briccialdi, acclamato virtuoso del flauto, scorrono i momenti salienti dell’opera, con predilezione per le situazioni più brillanti e ricche di verve: tracce della Sinfonia, la Serenata d’apertura, la Cavatina di Rosina, l’esilarante congedo (“Buonasera!”) del Secondo Atto, il finale del Primo.

GEORGE BIZET/BILL HOLCOMBE

«Carmen Suite»

Omaggio a una Spagna sconosciuta, interamente immaginata, la Carmen debuttò il 3 marzo 1875 all’Opéra Comique di Parigi suscitando molte polemiche, proteste, discussioni. Due cose, in particolare, offesero il pubblico presente in sala: la violazione delle convenzioni dell’opéra-comique e la messa in scena di un soggetto immorale. Questo anticonformismo di Bizet è presente anche nell’invenzione musicale.

Nel Prélude egli giustappone tre temi principali: la musica esuberante dei toreri, la canzone di Escamillo e la drammatica melodia di Carmen, senza organizzarli in maniera strutturale, ma accostandoli liberamente in un gioco di evocazioni di primitiva semplicità, con una soluzione da pot-pourri che imprime energia e inusitata carica espressiva al discorso musicale. L’Entr’acte II (Les Dragons d’Alcala) è una sorta di canzone da caserma di intonazione umoristica affidata ai fagotti e al tamburo, L’Entr’acte III è uno squisito episodio di colore agreste: originariamente concepito per l’Arlésienne, esso mantiene i caratteri bucolici e gentili di quel lavoro. Infine, l’Entr’acte IV (Aragonaise) è un’adeguata introduzione all’atmosfera oscura del Finale.

Questi diversi brani manifestano in modo straordinario l’ispirazione esotica della musica di Bizet: le citazioni folcloriche, i ritmi di danza e i recuperi modali sono elementi che contribuiscono a delineare la vivida personalità poetica di questo autore. La trascrizione per Quintetto di fiati di Holcombe cattura l’essenza dell’opera di Bizet, mettendo in risalto i colori e le sfumature uniche di ciascuno strumento,

GEORGE GERSHWIN/BILL HOLCOMBE

Suite da «Porgy and Bess»

Gershwin diede il suo contributo al teatro musicale con Porgy and Bess, su libretto di Edwin DuBose Heyward e del fratello Ira Gershwin che adattarono l’omonimo romanzo di Heyward del 1925. Quando Gershwin lesse, nel 1926, Porgy, fu talmente attratto dall’argomento da decidere di farne un’opera e chiese la collaborazione di Heyward. Egli spiegò la scelta di dare come titolo Porgy and Bess a un’opera folk in un articolo pubblicato nel 1935 dal “New York Times”: «Porgy and Bess è un racconto folk. Le sue persone naturalmente cantavano musica folk. Quando io cominciai dapprima il lavoro sulla musica, mi dichiarai contrario all’uso del materiale folk originale perché volevo che la musica fosse tutta di un unico pezzo. Perciò scrissi di mia mano gli spirituals e i foksongs. Ma essi sono ancora una musica e, quindi, essendo in forma di opera, Porgy and Bess diventa un’opera folk».

Nell’opera di Gershwin l’elemento folk non viene introdotto tramite prestiti dalla tradizione degli spirituals e dalle folkongs, ma facendo riferimento al mondo musicale che egli dimostrò di aver assimilato. Tutta l’opera è tramata di elementi tratti dal jazz americano e dalla tradizione religiosa negra oltreché di quella africana conosciuta quando lavorava a Charleston nella Carolina del sud. Tra le pagine più note della partitura ricordiamo la celeberrima ninnananna Summertime che, introdotta all’inizio dell’opera, ritorna più volte al suo interno, e Bess, you is my woman now

L’opera fu rappresentata per la prima volta a Boston il 30 settembre 1935 per approdare poi a Brodway nella città di New York dove ricevette un’accoglienza poco favorevole a causa del suo argomento a carattere razziale e della scelta di far esibire cantanti afroamericani. Raggiunse, tuttavia, la popolarità tanto da essere ora una delle opere più conosciute e più rappresentate quando fu messa in scena, nel 1976, al Huston Grand Opera. Swing entusiasmante, trascinante ricchezza melodica e ritmica, irrefrenabile vitalità rivivono nell’arrangiamento per quintetto di fiati della Suite che ascolteremo stasera, in cui sono ricapitolati i motivi delle note canzoni che Gershwin vi ha profuso, tra le più belle che egli abbia scritto, come la famosissima e intramontabile Summertime.