con il patrocinio di Martha Argerich, Cristina Muti e Fedele Confalonieri
«RISCOPERTE»
FELIX MENDELSSOHN-BARTHOLDY (1809-1847)
Concerto in re minore per violino, pianoforte e orchestra d’archi
Allegro
Adagio
Allegro molto
DAVIDE REMIGIO (1963)
Postcard to Felix (prima esecuzione assoluta)
FELIX MENDELSSOHN-BARTHOLDY
Sinfonia n.9 in do maggiore per archi
Grave. Allegro
Andante
Scherzo. Trio più lento “La Suisse”
Allegro vivace
L’Insubria Chamber Orchestra, denominazione rappresentativa di quel territorio transregionale e transnazionale compreso tra i grandi laghi dell’Italia nord-occidentale, nasce dall’idea di creare un gruppo di giovani strumentisti, guidati da prime parti che hanno già lavorato in prestigiose orchestre italiane, con i quali poter collaborare stabilmente al fine di realizzare quella compattezza timbrica ed esecutiva, raggiungibile solo con la continuità operativa e la condivisa visione di ricerca, utile a ottenere esecuzioni pregevoli nell’ambito di un ampio repertorio sinfonico cameristico. Questa genesi peculiare garantisce alla compagine una coesione non comune e un particolare stile esecutivo impreziosito dall’utilizzo di edizioni filologicamente attendibili e, ove possibile, addirittura storiche, nonché dalla presenza costante dello stesso Direttore musicale, Giorgio Rodolfo Marini, che segue in prima persona tutti i progetti delle produzioni artistiche. L’Orchestra da qualche anno è ospite del “Perosi Festival” di Tortona e della rassegna “Reviviscenze Musicali” con cui il 30 maggio 2020 è stata protagonista del primo Concerto in Italia di un’Orchestra in presenza dopo il lockdown trasmesso in diretta streaming con notevole successo di visualizzazioni; ha collaborato con solisti di fama internazionale e lavora con il supporto della “Fondazione JUPITER” che promuove eventi musicali e artistici in Italia e all’estero con specifica attenzione alla Regione Lombardia della quale ha recentemente ottenuto il riconoscimento ufficiale.
Violini I
Sara Sternieri (spalla)
Matteo Andreoli
Andrea Pellegrini
Anna Cracco
Irene Maggio
Catalina Spataru
Claudio Andriani
Violini II
Alessandra Fusaro
Tiziana Furci
Elisabetta Danelli
Federica Gatti
Veronica Gigli
Enrico Maria Guidi
Viole
Matteo Fedeli
Clara Costa
Defne Sönmez
Alessio Boschi
Violoncello
Francesco Dessy
Annamaria Bernadette Cristian
Luca Russo Rossi
Contrabbasso
Piermario Murelli
Davide Sorbello
Diplomatosi in Direzione d’Orchestra presso il Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, si è formato alla scuola dei maggiori Maestri italiani e stranieri, tra cui Hans Priem Bergrath, Ferenc Nagy, Ervin Acél ed Emil Simon. Ha diretto varie Orchestre italiane e straniere e ha collaborato con solisti di fama internazionale quali Anna Maria Cigoli, Carlo Levi Minzi, Bruno Canino, Marco Chingari. Più volte ospite di importanti Istituzioni concertistiche quali il “Perosi Festival” di Tortona, ha pubblicato vari CD con la IMD Music.
Ha studiato violino con Ricci, Accardo e Mezzena, viola e composizione con Asciolla e Dionisi e ha conseguito il dottorato in musicologia nel 2004 presso l’Università di Bologna. Nel 2011 ha fondato il Trio arTre. Ha suonato con i “Virtuosi di Roma” ed è stato socio fondatore della “Camerata Strumentale di Roma”; è primo violino e direttore musicale dell’Officina de li Affetti ed è stato co-fondatore dell’ensemble “European Music Project”. Primo violino delle più importanti orchestre italiane ha collaborato, anche come solista, con direttori quali Bernstein, Maazel, Giulini, Marriner, Levine, Delman, Garbarino, Tetzlaff, Rieger, Guzman e Cipriani. Ha tenuto masterclass in Francia, Spagna, Italia, Austria, Cina. È regolarmente invitato all’Università di Liverpool e alla Lunnevad Musikskola in Svezia per concerti e masterclasses. Insegnante di violino in numerosi Conservatori italiani, attualmente insegna al Conservatorio di Verona. È spesso invitato come membro di giuria in importanti concorsi internazionali. É stato direttore artistico della casa discografica “Symposion” di Trento, del Festival di Musica da Camera “Passaggi Musicali” di Montefiore dell’Aso e dal 2019 è direttore artistico del festival “Venusta Musica” nelle Alpi. Molto attivo anche in ambito discografico, come solista ha inciso opere di Milhaud, Anzoletti, Vivaldi, Schubert, Paganini, etc… (www.defant.net )
Allievo di Enrica Cavallo, Vladimir Natanson, Paul Baumgartner e Mieczyslaw Horszowski, ha tenuto concerti nelle principali città di Europa e America ed effettuato numerose registrazioni radiotelevisive e discografiche. Il suo repertorio, che si estende da Bach ai giorni nostri, comprende, oltre al ciclo integrale delle Sonate di Mozart, Beethoven, Schubert e Skrjabin, anche più di cinquanta Concerti per pianoforte e orchestra. É stato Professore Ordinario presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano e ha tenuto numerose Master class presso prestigiose Istituzioni in Europa, Asia e America.
LE GIOIE MALINCONICHE DEL GIOVANE FELIX
La precocità di Mendelssohn, destinato a produrre il suo capolavoro, l’Ouverture al Sogno di una notta di mezza estate shakespeariano, a diciassette anni, trovò un’atmosfera fervida di incontri nella casa del padre, Abraham, nipote del famoso filosofo Moses («Sono noto per essere il nipote di mio nonno e il padre di mio figlio», dirà più tardi il pover uomo), nonché ricco banchiere e mecenate di artisti come Spontini, Weber, Spohr e Paganini, ospiti abituali in casa sua. Ma l’incontro che doveva cambiare la vita del piccolo Felix (“Felice Meritis”, come lo chiamava Schumann) avvenne nientemeno che a casa di Goethe, col quale l’“Ariele degli Elfi”, secondo il diminutivo subito datogli dal Consigliere Segreto di Weimar, coltivò un’intesa a base di improvvisazioni pianistiche e traduzioni dei Classici greci e latini, dei quali erano entrambi ghiotti.
Fu dunque sotto la guida del musicista di casa della famiglia Goethe, Karl Friedrich Zelter, che Mendelssohn compì, tra i dodici e i quattordici anni, l’apprendistato musicale già iniziato presso l’Accademia di Canto della sua infanzia, dove aveva imparato ad amare Bach, Händel, Haydn e Mozart.
Di gusti iperclassici, al limite del fanatismo, Zelter è noto per aver espresso un giudizio irriferibile in merito ai Lieder su testo di Goethe inviati da Schubert al poeta, condannando così il genio viennese all’ostracismo. Tale onta potrebbe venire parzialmente redenta, presso i musicofili, se si sapesse che il sublime tema del Secondo Movimento della Sinfonia “Italiana” di Mendelssohn è, in realtà, suo (si tratta di una romanza sulla goethiana canzone di Margherita, Il Re di Thule).
Dunque, tra il 1821 e il 1823, Mendelssohn compì presso Goethe l’apprendistato di tredici Sinfonie per archi, in cui ogni brano serve, programmaticamente, a impratichirsi su una certa forma e un determinato stile, tra Canoni, Fughe doppie, Forme-Sonata e Rondò con rigoroso ritornello.
Nella Sinfonia n.9 Mendelssohn gioca a gonfiare le gote, secondo un disegno di gravità programmatica che risale all’Haydn delle sinfonie Sturm und Drang (frutto, più che dello spirito del tempo, del suo matrimonio con una megera)… L’introduzione lenta riprende l’analogo momento della Sinfonia “Trauer” haydniana, cui segue, però, con un ribaltamento d’umore tipicamente adolescenziale, un motivo di note pizzicate al basso che nasce come una specie di brusio denigratorio nei confronti di quel tronfio primo tema, presto messo in fuga da un “Allegro Moderato” dove un primo motivo ritmico – si tratta del “pizzicato”, completato delle note di passaggio – sfocia in un cantabile che più mozartiano non si può, con quella notina superiore che poi casca sul registro grave, come un trapezista senza più appoggio (ma la gravitas riacciuffa il mariolo e gli infligge la punizione di una Fuga severa severa).
L’“Andante”, tripartito, ha una scrittura molto originale: all’inizio i violini, divisi in quattro parti, espongono un tema senza accenti né escursioni dinamiche, cui si contrappone un episodio per imitazione affidato agli archi gravi, i quali, dopo un po’, si fanno convincere dai loro più squillanti fratelli a riprendere il loro stesso tema, non senza, prima, qualche baruffa famigliare. Nello “Scherzo”, Mendelssohn si ricorda dei pastorelli beethoveniani; essendo però, a differenza del Grande di Bonn, dotato di cospicui mezzi di famiglia, il tema rurale, che fa tanto Guglielmo Tell, se lo va a cercare non nei sobborghi di Vienna, ma in Svizzera, luogo più à la page.
Il Finale risente della danza campestre, non fosse che il greve temone imparruccato dell’inizio rovescia i banchetti per dar vita a una tortuosa doppia Fuga che avrà allungato di qualche anno la vita di Zelter, per quanto è magistrale.
Nel Concerto in re minore per violino, pianoforte e archi, Felix vuole dimostrare, nell’“Allegro”, di poter imitare, oltre ai classici, anche un boemo pazzoide e ricercatore del folklore ante-litteram come il pianista girovago Jan Ladislav Dussek, fuggito rocambolescamente da San Pietroburgo dopo avere – pare – cercato di assassinare Caterina II di Russia, l’amante sua. Amico di Goethe, era uso ricambiare i pranzi principeschi del Consigliere con lunghe improvvisazioni su temi popolari. Per contrappeso all’escursione in territori indebiti, il secondo tema, con quelle due frasi asimmetriche e percorse da una serena malinconia, è Mendelssohn fino all’ultima biscroma e viene seguito da uno sviluppo in cui il tutto viene impilato in verticale, come si dovesse far trasloco da una delle Sinfonie “Londinesi” di Haydn. A questo punto Felix si ricorda che di lì a poco dovrà diventare famoso col Sogno di una notte di mezza estate, perché crea, nell’“Adagio”, un clima di notte lunari e spiritelli insonni il cui assorto ondeggiare non si placa fino alla fine. E di lontano, brumoso, traspare già il mare iper-romantico delle “Ebridi”, altra celebre Ouverture ancora di là da venire. L’“Allegro molto” finale vaga tra un Mozart rossinizzato, nel ritmo e uno Spohr con le armonie corrette a matita rossa e blu da Haydn. Qui, il fanciullo comincia a prendere il gusto del pastiche e non risulta difficile immaginare la reazione del rigido Zelter a una simile esplosione di talento imitativo profuso in tutte le direzioni: a letto senza cena e Canoni a tre voci per una settimana… Questo compositore in cui sapienza e fantasia si coniugano in grazia leggera e aurorale, ha soltanto quattordici anni. Per riprendere ancora una frase di Schumann: «Giù il cappello, signori, ecco un genio».
In Postcard to Felix, Davide Remigio compie un omaggio al quadrato, evocando il classicismo haendeliano di un Mendelssohn all’organo, intento a squadrare in linguaggio imitativo le linee melodiche piovute dallo sciogliersi di un Corale bachiano sospeso, a mo’ di stalattite, sulle campiture del brano. Progressivamente, il lento Canone si rapprende in un cantus firmus inciso da contrasti agogici che lo rendono l’equivalente musicale di un ritratto di Felix brunito dal tempo. La compresenza di serena trasfigurazione e fantasmatico straniamento evoca quanto di segretamente doloroso il nostalgico desiderio di purezza mendelssohniano serbi, sempre, in sé.
Alessandro Zignani