con il patrocinio di Martha Argerich, Cristina Muti e Fedele Confalonieri
«Incantesimi e incanti, da Oriente a Occidente…»
NIKOLAJ ANDREEVIČ RIMSKIJ-KORSAKOV (1844 – 1908)
Sherazade
(Arrangiamento Roberto Cappello)
ALEKSANDR PORFIR’EVIČ BORODIN (1833 – 1887)
Danze polovesiane
(Arrangiamento Roberto Cappello)
GEORGE GERSHWIN (1898 – 1937)
Rhapsody in Blue
(Nel centenario della sua prima esecuzione – Arrangiamento Roberto Cappello)
Tecnica trascendentale, raffinatissima sensibilità artistica e spirituale, costante impegno culturale e intellettuale nella scelta del repertorio volto a esaltarne i più alti contenuti, pongono l’arte interpretativa di Roberto Cappello ai vertici del concertismo contemporaneo.
Dopo la vittoria del Premio Busoni (1976), ha iniziato una grande e nobile carriera che lo ha visto acclamato protagonista nelle sale più prestigiose di tutto il mondo, sia nelle vesti di solista, che con orchestra e formazioni da camera.
All’intensa attività concertistica, affianca con esemplare rigore e impegno quella didattica, che prevede numerose master-class, seminari e corsi di perfezionamento.
É costantemente invitato a presiedere le giurie di concorsi pianistici nazionali e internazionali.
È stato Direttore del Conservatorio di Musica “Arrigo Boito” di Parma.
Cappello è stato uno dei tre pianisti a inaugurare l’attività di Serate Musicali dopo la sua vincita al Concorso Busoni, nel lontano autunno 1976 e da allora è tornato regolarmente a suonare per la nostra Società, di cui è uno degli Amici più fedeli.
«Nikolaj Rimskij-Korsakov compose il Poema sinfonico Sherazade nell’estate del 1888. Allora stava portando a termine Il principe Igor di Alexandr Borodin, musicista scomparso improvvisamente poco prima di aver terminato la sua opera. Coinvolto nel clima fiabesco del lavoro incompiuto del collega, si accinse quindi a realizzare una sua partitura ispirata all’ambiente orientale di Le mille e una notte, insieme di racconti fantastici tradotti dal francese da Antoine Galland agli inizi del Settecento.
La stupefacente raccolta di novelle arabe, dominate dalla magia e dal gusto per lo straordinario, costituì lo spunto per una suite sinfonica (qui proposta nella versione pianistica elaborata da Roberto Cappello) che risulta tuttora tra le pagine maggiormente brillanti nella produzione del musicista russo. I quattro episodi della composizione si dipanano l’uno di seguito all’altro come un racconto meraviglioso che, sin dall’inizio, presenta due temi volti a caratterizzare il sultano Schahriar e Sherazade, la dolce figlia del Gran Visir: il primo, Largo e maestoso, cupo e ostile – anche in virtù della presenza del tritono, il cosiddetto diabolus in musica – in contrasto con il secondo, Lento, sinuoso e leggero. La fanciulla, con le sue narrazioni, vuole dissuadere il terribile sovrano dall’uccidere ogni moglie che giaccia con lui dopo la prima notte di nozze tramite la dolcezza e l’incanto delle sue parole e inizia proponendogli Il mare e la nave di Sinbad. Prosegue quindi con Il racconto del principe Kalender, seguito da Il giovane principe e la giovane principessa per concludere con l’avvincente Festa a Bagdad.
Ogni volta l’ascoltatore si imbatte in un susseguirsi di immagini ricche di incanto dal sapore antico ed esotico inserite in un Oriente favoloso fatto di arti magiche, sempre inframezzato dalla presenza dei due personaggi principali della vicenda. Pervadono la composizione fascino, sogno, mistero, sortilegi: un universo pittoresco e meraviglioso tradotto in virtuosistici suoni dalle mille sfaccettature e colori. I due Leitmotiv variano intrecciandosi fra loro in un brano dalla struttura libera che si conclude con il lieto fine, risultando un’esperienza irresistibile per gli ascoltatori di tutti i tempi.
A seguire, le trascinanti Danze polovesiane tratte dal secondo atto del Principe Igor del geniale Alexandr Borodin, ottimo medico e chimico di professione attivo a San Pietroburgo che, nel tempo libero, si dedicava alla musica. Il lavoro proposto (sempre nella trascrizione di Roberto Cappello), ci pone di fronte a danze che rimandano alle origini orientali del musicista, volto a recuperare e far propri motivi tratti dal folklore del suo paese: tendenza tipica, peraltro, degli autori facenti parte del cosiddetto Gruppo dei Cinque (Cui, Mussorgsky, Rimskij-Korsakov, Borodin, Balakirev).
I quattro temi sui quali è basata la composizione si riferiscono al momento in cui il Khan dei Tartari intrattiene il nobile principe, suo prigioniero, con canti e danze. Si tratta di una vera e propria epopea della terra russa nella quale elementi popolari vengono ripresi e adattati, talora in contrasto tra loro: si passa senza soluzione di continuità dal tono orientaleggiante incantato delle favole a una sorta di impeto trionfalistico di rara efficacia. Ogni linea melodica, la cui resa è possibile soltanto in virtù di un trascinante virtuosismo, ci immerge in un’atmosfera magicamente esotica, ricca di colori e momenti suggestivi.
La prima danza, preceduta da una breve introduzione, consiste in un aggraziato Andantino a cui fa seguito un vigoroso Allegro vivo che sfocia in un appassionante Allegro in 3/4. Si passa quindi a un Presto, frenetico e vorticoso, seguito dalla trionfante festa nell’accampamento. Ci si avvia alla conclusione di tale incanto e, dopo aver ripreso i temi precedenti, il brano termina in maniera gioiosa. Borodin si definiva «musicista della domenica»; al che, Liszt, suo grande ammiratore, replicava con «Ma la domenica è sempre festa!».
Conclude l’incanto la Rhapsody in Blue, capolavoro di George Gershwin in un unico movimento che sintetizza, quasi magicamente, le tradizioni della musica colta e popolare in un turbinoso e travolgente brano caratterizzato da ritmi e melodie che l’Autore stesso definì «una sorta di multicroma fantasia, un caleidoscopio musicale dell’America, col nostro miscuglio di razze, il nostro incomparabile brio nazionale, i nostri blues, la nostra pazzia metropolitana».
Nella composizione, Gershwin utilizza con originalità cinque temi differenti venendo a creare una sintesi perfetta tra la tradizione europea e il mondo jazzistico d’oltreoceano.
Grazie anche ai richiami alla cultura africana, riesce inoltre a creare un’atmosfera magica, congeniale ai gusti del pubblico americano di quegli anni, ma irresistibile ed emozionante anche per gli ascoltatori dei giorni nostri».
Roberto Cappello